È ormai un fatto appurato che la lingua sia lo
specchio della cultura e che la nostra lingua influisca il nostro modo di
vedere e percepire la realtà. Ovviamente il mondo è uguale per tutti, ma ciò
che cambia sono le sfumature della realtà che ogni lingua mette in risalto.
Così, se in italiano si trova una sola parola per riferirsi ai nipoti – tanto
degli zii come dei nonni – in spagnolo si trovano le parole “sobrino”, per
riferirsi al nipote degli zii, e “nieto”, per riferirsi al nipote dei nonni. Come
si dovrebbe quindi tradurre la parola “nipote” in spagnolo se il testo non
presenta nessun riferimento a zii o nonni? È per questo motivo che le differenze culturali
rappresentano uno dei maggiori
problemi per i traduttori, che spesso si
trovano di fronte a scelte difficili.
Umberto Eco ha messo in luce il fattore della
fedeltà, facendo una distinzione tra fedeltà linguistica e fedeltà culturale.
Il problema della traduzione è principalmente dato dal fatto che spesso una
fedeltà linguistica comporti una infedeltà culturale o viceversa, e sta al
traduttore scegliere se sia meglio essere fedeli alla cultura o alla lingua di
partenza. Lo stesso Eco, che segue da vicino i traduttori delle sue opere, pone
come esempio il suo romanzo “L’isola del giorno prima”, nel quale il
protagonista descrive i coralli che si trovano nell’Oceano Pacifico. Il testo
originale presenta tantissime varietà e sfumature di colore, evitando la
ripetizione e la ridondanza. La traduzione rischiava però di diventare alquanto
complicata, perché non tutte le lingue presentano un termine per ogni sfumatura
e se per esempio in italiano esistono dieci parole per definire le tonalità del
rosso, un’altra lingua ne può presentare solo otto. Così, Eco ha indicato ai
suoi traduttori di non tradurre letteralmente tutte le varietà presenti
nell’opera, perché ciò che per lui era importante non erano i colori in sé ma
la rappresentazione della immensa varietà cromatica dell’Oceano Pacifico.
Altro caso è stato invece la traduzione
dell’Ulisse di James Joyce, romanzo ambientato a Dublino, in cui viene descritto
alla perfezione il mondo irlandese. Il traduttore non poteva scegliere una
fedeltà culturale, ma si è dovuto attenere al testo di partenza, per poter dare
al lettore una sensazione di “straniamento” che lo catapultasse all’interno
della realtà irlandese.
Senza dubbio, le espressioni idiomatiche non
possono contare su una fedeltà linguistica, perché si otterrebbero frasi senza
alcun senso. Per esempio, la frase idiomatica inglese “It’s raining cats and
dogs” non si può tradurre letteralmente come “Piovono cani e gatti”, perché per
un lettore italiano sarebbe una frase inusuale e incomprensibile.
In conclusione, la cosa più utile per arrivare
ad una buona traduzione è capire “l’intenzione” del testo e dell’autore, per
poter dare ai lettori che leggono il testo la stessa sensazione, pur
utilizzando lingue differenti.
Simona
Dessì
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