lunes, 17 de agosto de 2015

L’importanza della cultura nella traduzione



 È ormai un fatto appurato che la lingua sia lo specchio della cultura e che la nostra lingua influisca il nostro modo di vedere e percepire la realtà. Ovviamente il mondo è uguale per tutti, ma ciò che cambia sono le sfumature della realtà che ogni lingua mette in risalto. Così, se in italiano si trova una sola parola per riferirsi ai nipoti – tanto degli zii come dei nonni – in spagnolo si trovano le parole “sobrino”, per riferirsi al nipote degli zii, e “nieto”, per riferirsi al nipote dei nonni. Come si dovrebbe quindi tradurre la parola “nipote” in spagnolo se il testo non presenta nessun riferimento a zii o nonni?  È per questo motivo che le differenze culturali rappresentano uno dei maggiori
problemi per i traduttori, che spesso si trovano di fronte a scelte difficili. 

Umberto Eco ha messo in luce il fattore della fedeltà, facendo una distinzione tra fedeltà linguistica e fedeltà culturale. Il problema della traduzione è principalmente dato dal fatto che spesso una fedeltà linguistica comporti una infedeltà culturale o viceversa, e sta al traduttore scegliere se sia meglio essere fedeli alla cultura o alla lingua di partenza. Lo stesso Eco, che segue da vicino i traduttori delle sue opere, pone come esempio il suo romanzo “L’isola del giorno prima”, nel quale il protagonista descrive i coralli che si trovano nell’Oceano Pacifico. Il testo originale presenta tantissime varietà e sfumature di colore, evitando la ripetizione e la ridondanza. La traduzione rischiava però di diventare alquanto complicata, perché non tutte le lingue presentano un termine per ogni sfumatura e se per esempio in italiano esistono dieci parole per definire le tonalità del rosso, un’altra lingua ne può presentare solo otto. Così, Eco ha indicato ai suoi traduttori di non tradurre letteralmente tutte le varietà presenti nell’opera, perché ciò che per lui era importante non erano i colori in sé ma la rappresentazione della immensa varietà cromatica dell’Oceano Pacifico. 

Altro caso è stato invece la traduzione dell’Ulisse di James Joyce, romanzo ambientato a Dublino, in cui viene descritto alla perfezione il mondo irlandese. Il traduttore non poteva scegliere una fedeltà culturale, ma si è dovuto attenere al testo di partenza, per poter dare al lettore una sensazione di “straniamento” che lo catapultasse all’interno della realtà irlandese.

Senza dubbio, le espressioni idiomatiche non possono contare su una fedeltà linguistica, perché si otterrebbero frasi senza alcun senso. Per esempio, la frase idiomatica inglese “It’s raining cats and dogs” non si può tradurre letteralmente come “Piovono cani e gatti”, perché per un lettore italiano sarebbe una frase inusuale e incomprensibile.

In conclusione, la cosa più utile per arrivare ad una buona traduzione è capire “l’intenzione” del testo e dell’autore, per poter dare ai lettori che leggono il testo la stessa sensazione, pur utilizzando lingue differenti.

Simona Dessì